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Viaggio nella memoria

Viaggio nella memoria attraverso i luoghi del tempo

La provincia di Cosenza, la più estesa delle province calabresi, costituisce un sistema territoriale dalle enormi risorse culturali, in cui sono maturati processi di antropizzazione che hanno segnato di ingenti valori l’evoluzione della Calabria nel corso dei processi storici e antecedenti.
Evoluzione lenta ma continua, che ha comportato lo stabilimento di ambiti e siti sempre più intensamenti fruiti e riconfermati, fino a determinare il paesaggio del costruito attraverso tracce, segni e presenze di indiscutibile importanza nel panorama dell’arte e dell’architettura europea.
Ruolo, quest’ultimo, in fase di affermazione i cui presupposti e contenuti sono, comunque, avviati al recupero di una identità che il passato ha concretamente stabilito e che continua a testimoniare, attraverso la voce dei suoi monumenti storici e dei suoi monumenti antropologici “viventi” rappresentati dalle culture occitana (Guardia Piemontese) e albanese (Lungro, San Dementrio Corone, Santa Sofia d’Epiro, Spezzano Albanese, Civita e altri).

IL PASSATO

Gli eventi che caratterizzano la provincia cosentina partono da un lontano passato che ha inizio dalla formazione delle prime manifatture litiche e dalla applicazione di rudimentali, ma nel contempo efficaci e funzionali, tecniche metallurgiche. Come si desume dalla scoperte paletnologiche e dal relativo esame dei materiali rinvenuti e identificati, rapportato alle diverse culture di produzione e ancora in fase di sistematizzazione, in ragione dei sempre nuovi ritrovamenti che ne ampliano il quadro di studio.
Il periodo preistorico in Calabria e nella provincia di Cosenza, la cui datazione risulta necessariamente approssimata per i diversi metodi applicati, per la diversa intepretazione, per l’attribuzione cronologica dei reperti e per le diverse manifestazioni culturali di gruppi coevi in aree geografiche diverse, è inquadrabile nelle seguenti fasi :

Paleolitico inferiore (produzione di manifatture) è generalmente compreso tra 2.000.000 di anni a circa 80.000 anni fa; il Paleolitico medio attribuito alla presenza dell’ Uomo Neanderthaliano, con ritrovamento di sepolture identificative di uno sviluppo definibile del tipo socio-culturale, giunge sino a 35.000 anni fa circa; il paleolitico superiore (uomo di Cro-Magnon e prime espressioni considerate artistiche) riduce a oltre 12-10.000 anni addietro il campo di riferimento a cui segue il periodo detto Mesolitico-Epipaleolitico, comunemente assegnato al periodo di transizione tra l'età della pietra scheggiata e quella della pietra levigata, fino agli ultimi ritrovamenti riferiti a gruppi culturali precedenti l'avvento del Neolitico.
Gruppi di popolazione nomade, con attività preminente dedita alla caccia, hanno lasciato tracce di manufatti in pietra e resti dei loro insediamenti.
I siti molto limitati, dovuti in gran parte alle trasformazioni dell’ambiente originario nelle connotazioni morfologiche e alla attuale ricerca archeologica ancora in fase di sviluppo, hanno consentito di individuare interessanti siti conservatisi per la permanenza delle caratteristiche ambientali intrinseche.
Tortora, Praia a Mare e Scalea rappresentano siti importanti del Paleolitico che, unitamente ad altri individuati nel territorio della regione e con significativi rilevamenti anche sul versante ionico, evidenziano localizzazioni comprese tra la fascia tirrenica e quella pedemontana, lungo i rilievi collinari o le vie d’acqua interne.
I corsi vallivi del Fiume Noce e del Lao appaiono indicativi di tale condizione che racchiudono interessanti insediamenti umani in tale area della Calabria nord-occidentale, quale il sito paleo-mesolitico del Romito di Papasidero, posto a oltre 20 km. nell’entroterra e caratterizzato dalle straordinarie incisioni lapidee dei bovidi; oltre la zona di Praia Mare ove si è riscontrata una continuità di presenza antropica dal Paleolitico fino all’intero periodo del Neolitico.

Il Neolitico, classificato cronologicamente in periodi Inferiore, Medio, Superiore, datato intorno al 7.000 a.C. nel Medio Oriente e in Grecia nel 6.000 a.C., in Italia meridionale manifesta le sue espressioni a partire dal 7.000 a.C. con prevalenza nell’ intervallo temporale compreso tra il 5.500/5.000 a.C.-
Le comunità umane utilizzano la pietra levigata dopo l’uso della pietra grezza e scheggiata; da nomadi e raccoglitori di cibo diventano produttori di alimenti con l’avvio dei primi processi agricoli. Nascono gli insediamenti stabili, si producono manufatti in ceramica e si utilizzano gli animali per le esigenze del lavoro e del consumo.
 

In Calabria i siti Neolitici si sovrappongono, spesso, a quelli precedenti di età Paleolitica:
Aiello, Amantea - Campora S. Giovanni, Belvedere Marittimo, Montalto Uffugo, Castiglione di Paludi, Papasidero-Grotta della Manca e Romito, Praia a mare-Grotta della Madonna, Roggiano Gravina-Castiglione, S. Maria del Cedro, Marcellina, Tarsia–Mazzolini, rappresentano gli insediamenti principali e riconosciuti del Neolitico in provincia di Cosenza.
In particolare nel Neolitico inferiore, si ritrova la ceramica decorata con motivi impressi prima della cottura, come in loc. Favella di Sibari, nel mentre nel Neolitico medio e superiore è presente la ceramica dipinta, di cui si hanno esempi a Cassano Ionio (Grotta di Sant’Angelo III), Papasidero (Grotta o Riparo del Romito), Praia a Mare, Sibari ecc.-
Il commercio principale, in rapporto alla sua diffusione, ha determinato l’utilizzo delle vie interne di comunicazione seguite già con una certa regolarità.
Durante il Neolitico un maggior numero di località interessate da resti fornisce il quadro di una più consistente presenza umana.
La notevole concentrazione di ossidiana sotto forma di strumenti lavorati schegge e scarti di produzione la si ritrova nelle località già indicate e inoltre nelle Grotte Pavolella di Cassano Ionio, a Corigliano C.- loc. Favella, Roggiano Gravina nei siti di Castiglione e Larderia.
La diffusione degli scambi, avviatasi a superare i confini territoriali della provincia per confrontarsi con altre culture, determinarono la formazione di collegamenti anche con aree geografiche poste nell’entroterra o lungo i versanti costieri, collegando le valli dei fiumi Coscile ed Esaro fino alla pianura jonica di Sibari.
In tale periodo gli insediamenti antropici presero consistenza e avviarono scambi e attività commerciali, impostando e infittendo le vie di percorrenza e i relativi collegamenti territoriali.

Successiva alla preistoria vi é una fase di transizione definita convenzionalmente Protostoria, comprendente l’ età eneolitica o del Rame periodo tra il tardo neolitico e gli albori dell'età del bronzo (3.500 – 2.300 a.C.)l’età del Bronzo (2300 – 1000 a.C. circa ) e la prima Età del ferro (IX°-VIII° sec. a.C.):
La capacità di lavorare il metallo rappresentò un progresso tecnico di notevole portata che indusse a modificare la vita delle comunità presenti in Calabria, soprattutto in termini di confronto tra i diversi insediamenti e nella gestione del territorio.
In Italia meridionale il passaggio dal Neolitico all’Eneolitico avviene durante il terzo millennio a.C. e in maniera non omogenea, per la difficoltà di reperimento e approvvigionamento della materia prima oltre alla difficoltosa lavorazione del medesimo.
La cultura del rame proviene in Calabria soprattutto dalla Campania e dalla Puglia, dalle quali si ricevono la materia prima e gli stessi prodotti. Risulta carente un processo di produzione autonomo che si avvale prinicpalmente di apporti esterni, con scarsa presenza di reperti del tipo, comunque individuati a Cassano Ionio in località Grotta della Pavolella e S. Angelo III, a Cleto, Dipignano, Morano loc. Marsilia, Praia a Mare presso le Grotte Cardini e Madonna, Roggiano Gravina in frazione Manche di Mormanno; sito quest’ultimo in cui sono stati rinvenuti ‘l’alabarda’ e il ‘pugnale’ di rame triangolare.

Se l'età eneolitica, allo stato attuale dei rinvenimenti risulta incompleta nell’inquadramenti complessivo dei siti, l’età del bronzo appare molto più ricca e documentata con estensione dal nord del Tirreno fino alla attuale provincia di Catanzaro.

L'Età del ferro propone interessanti insediamenti nel versante ionico attestate dalle necropoli di Spez¬zano Albanese e di San Lorenzo e nel territorio Castiglione di Paludi, che si estesero nell’intera area della provincia cosentina e, secondo quanto riportato dalla letteratura antica, attribuiti alla popolazioni preelleniche, cioè preesistenti all’arrivo dei Greci: Bruzi o Brutti (di probabile discendenza lucana), Choni, Enotri, Itali e Tirreni.

LE COLONIE GRECHE

Nel secolo VIII° a.C. si avviò il processo di colonizzazione greca della Calabria da parte dell’etnia dorica. Gli Ioni fondarono la prima colonia a Reggio C. nel 744 a.C., gli Achei impiantarono gli insediamenti di Sibari e Crotone nei primi anni dell’ VIII sec. a.C. e I Locresi Opunzii fondarono Locri tra il 680 e il 670 a.C. -
 

Da tali centri posizionati lungo la costa jonica si estese poi il controllo sul territorio calabrese che vide la presenza greca spostarsi lungo la costa occidentale attraverso le vie d’acqua, inserita in un contesto di scambi commerciali con le popolazioni indigene e con le aree a nord della Calabria.

Sybaris si estese lungo la costa tirrenica, controllando in pratica l’intera provincia cosentina attraverso la costituzione di nuovi centri :
Clampetia nel territorio di Amantea, Laos alla foce del Fiume Lao, Pandosia in diretta vicinanza alla capitale Bruzia, all’estremità interna della Valle del Crati e Scidros, nelle adiacenze di Belvedere Marittimo.

La presenza di tale grande colonia ebbe vita per circa sei secoli, nel corso dei quali le lotte tra le stesse colonie greche, dettate da evidenti interessi economici, la presenza delle popolazioni indigene attestate all’interno del territorio e i mutati equilibri politico-economici nel mediterraneo, portarono alla scomparsa del ruolo della presenza e dell’influsso greco, definitivamente conclusosi con la presenza romana, vanamente ostacolata dagli stessi Bruzi per limiti organizzativi, strutturali e di alleanze rivelatesi inidonee.
 

I resti della città magno-greca di Sibari, scoperti nel 1932 e i cui scavi sono stati avviati a partire dal 1969 hanno consentito di riscoprire vari settori della città sviluppati secondo uno schema urbanistico a maglie ortogonali attribuito a Ippodamo di Mileto. L’area di scavo della "Casa Bianca" conserva una zona edificata nel IV sec. a.C.; l’area degli "Stombi" consiste in un’area urbana, riedificata in parte dopo il 510 a.C. in cui sono visibili edifici e strutture della città di età arcaica. Nel settore di scavo del "Parco del Cavallo" appaiono evidenti i resti di età romana con la presenza del teatro e di un quartiere urbano lungo due grandi arterie principali.

L' ETÀ ROMANA

I Romani inviarono una spedizione contro I Bruzi nel 282 a. C. i quali chiesero il sostegno di Pirro, re dell'Epiro, sconfitto nel 275 a.C.- In tal modo Roma entrò in maniera determinante nel panorama storico della Calabria, la quale tentò di respingerne la occupazione alleandosi con I Cartaginesi. Anche tale condizione si rivelò inutile, in quanto con la conclusione delle guerre puniche nel 202 a.C. i Romani esercitarono un controllo stringente e diretto sui centri Bruzi in primo luogo e sulle colonie greche, per limitarne ogni possibilità di ripresa e rafforzamento.
Si diede l’avvio a un processo di romanizzazione con la formazione di nuove colonie romane e altre in affiancamento o sovrapposizione ai preesistenti insediamenti greci. La cultura Bruzia in pratica si estinse, quella greca fu assimilata; l’economia e la gestione del territorio subirono una completa trasformazione fondata sul recupero delle risorse esistenti da parte dei Romani.
L’uso dei suoli e la degenerazione del territorio dovuto alla assenza di un disegno economico e produttivo da parte dei romani, condussero alla distruzione della economia agricola, delle strutture portuali e alla complessa rete delle percorrenze necessaria agli scambi interni, ai quali si sostituì un sistema viario sostenuto dalla via Annia-Popillia, via interna di preminente interesse militare (132 a.C.), direttamente rapportata al trasferimento delle risorse tratte dai territori occupati e al collegamento degli insediamenti di nuova formazione.
Il degrado del territorio e conseguente crisi economica, spinse all’esodo le popolazioni che iniziarono a creare nuovi insediamenti a mezza costa annullando in tal modo l’economia costiera, fondata sugli scambi via mare a favore delle produzioni agricole e manufatturiere proprie delle attività collinari e montane.

La presenza romana, oltre alle tracce evidenti nell’area ionica delle colonie greche, la si ritrova lungo la Valle del Crati e le zone costiere tirreniche, su cui affiorano tracce significative di insediamenti agricoli e officine di trasformazione. Altri evidenti testimoni della presenza istituzionale romana sono presenti in Cosenza, quali le strutture ad ‘opus reticulatum’ della cinta murari, resti di edifici pubblici nelle aree a monte e valle del Corso Telesio, negli interrati dei grandi palazzi storici, oltre all’affioramento di resti provenienti da necropoli nell’area dei quartieri suburbani della ‘città nuova’, oltre il Busento. La dimensione ‘romana’ della antica Consentia è ancora tutta da scoprire.

IL MEDIOEVO

Con la caduta dell’impero romano d’Occidente nel 476 d.C. (quello d’Oriente, con capitale Bisanzio durerà per altri mille anni circa, sostituito poi dall’impero Ottomano) l’Italia e la Calabria divennero luogo di scontri e, nel contempo, di interessi politici a seguito delle invasioni barbariche, tra l’impero di Bisanzio e i popoli esterni, quali i Goti, i cui confronti nell’area Jonica della provincia di Cosenza hanno lasciato tracce storiche consistenti.

La Calabria in tale periodo passò sotto il dominio bizantino, se si eccettua l’intervallo insediativo in Cosenza e nell’area nord occidentale della provincia da parte dei Longobardi fino al se¬colo IX°, e le continue penetrazioni offensive di gruppi saraceni che occuparono temporaneamente, e a fasi alterne, zone relativamente ampie della provincia, condizionando anche lo sviluppo degli insediamenti sempre più costretti a ritirarsi all’interno del territorio, lontano dalle aree costiere.
La riconquista del territorio calabrese fu operata da Niceforo Foca, inviato nel¬l'885 dall'imperatore bizantino Basilio I, al quale si deve anche la ricostituzione di importanti centri quali Corigliano e Rossano. Quest’ultimo ospitò uno dei più insigni personaggi del tempo: S. Nilo.
Si assiste, nel frattempo, alla penetrazione in Calabria del cristianesimo di tradizione orientale, a seguito del movimento iconoclasta che determinò, fin dal secolo VIII° d.C., l’arrivo in Calabria di monaci provenienti dalle aree nord-africane e mediorientale, con ‘importazione’ delle proprie componenti rituali e linguistiche e conseguente separazione dalla chiesa di Roma.
Tale tradizione orientale apportò anche benefici all’ economia del territorio con l’introduzione di tecniche di conduzione agricola, produzione sericola e, soprattutto, favorì l’aggregazione sociale e comunitaria delle popolazioni presenti in area greca o greco-bruzia, già fortemente frammentate per le condizioni storiche del tempo.

Tra il bacino del Mercure e la media e bassa valle del fiume Lao, Orsomarso- Aieta, troviamo l'eparchia del Mercurion costituita da un sistema di luoghi di culto, propri del monachesimo di tradizione orientale, con presenza di modeste costruzioni per lo più a unica navata e con abside centrale semicircolare, di cui costituisce un tipico esempio la chiesa di S. Maria di Mercuri.
Altre tipologie, comunque affini, con variazioni nella aggiunta di absidi o nella configurazione planimetrica, ritenuti di attribuzione stilistica proto-normanna si individuano nella chiesetta sul Monte Marco a Cassano allo Ionio, nella Panaghía di Rossano e nella chiesetta dell'Ospe¬dale a Scalea.
L’architettura è permeata della cultura bizantina, raffinata ed elegante, che continuerà a manifestare tale apporto anche durante il periodo normanno con manifestazioni significative fino a tutto il XIV° secolo.
Tra i monumenti più noti della bizantinizzazione si ritrovano in provincia di Cosenza riferimenti unici di d'ispirazione orientale, quale la chiesetta di S. Marco a Rossano.

A San Demetrio Corone, nel 905 d. C., S. Nilo fondò una comunità monastica sulla base di un preesistente oratorio. L’impianto urbano, nella condizione attuale, è ben distinto dalla Chiesa di S. Adria¬no (XII°-XIII° sec.) che, pur incompleto nella composizione architettonica originaria, costituisce un esempio di architettura ro¬manico-latina ancora permeato dalla tradizione orientale che evidenzia significativamente il passaggio tra le due diverse culture a confronto nella provincia di Cosenza.

Il faticoso recupero della Calabria, seguito alle vicende varie e complesse nell’arco di cinque secoli dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, continuò col subentrare dei Normanni i quali, a partire dal 1052 si avviarono alla conquista della regione con Roberto il Guiscardo, completata poi dal fratello Ruggero. Con il subentrare della dinastia normanna fu avviato il processo di latinizzazione dell’intero territorio calabrese con la presenza, voluta e sostenuta, dei pricipali ordini religiosi (Benedettini, Certosini e Cistercensi).
S. Maria della Matina, nel territorio di S. Marco Argentano, è considerata la più antica fondazione benedettina in Calabria.
Il monastero benedettino di S. Maria Requisita presso Luzzi, denominato “la Sambucina”, fondato intorno al 1140, divenne in seguito il primo impianto dei Cistercensi in Calabria, giunti nel 1160 dall'abbazia di Casamari.
Dai cistercensi si staccò il ramo della riforma Florense, attuato da Gioacchino da Fiore, nato a Celico tra il 1130 e il 1135, fondatore dell'Abbazia di S. Giovanni in Fiore e del Monastero di Fonte Laurato, posto in territorio di Fiumefreddo Bruzio.

Esempi significativi della architettura normanna, oltre ai riferimenti sopra riportati e relativi agli impianti religiosi, sono ben presenti a S. Marco Argentano in cui si ammira la Torre detta di ‘Drogone’, tra le primissime testimonianze della presenza normanna in Calabria, dopo la ‘motta’ di Scribla.
Fatta innalzare da Roberto il Guiscardo nell’anno 1048, secondo alcuni costruita dai fratelli Drogone dai quali prende il nome, l’opera è caratterizzata da un alta torre cilindrica che riflette ristrutturazioni e rifacimenti tardo-svevi o proto-angioini e successivi completamenti aragonesi.
Al di sotto della Cattedrale di S. Marco Argentano si sviluppa la cripta in cui si individuano elementi di varie culture (bizantina e arabo-normanna). Realizzata in pietra e laterizi, é impostata su dodici pilastri a sostegno delle arcate a sesto acuto con crociere laterizie.
L’ architettura di periodo normanno costituisce una sintesi tra l’architettura romanica con componenti di derivazione orientale, che manifestano il processo di lenta ma continua assimilazione e occidentalizzazione dell’area meridionale di cultura bizantina.
In provincia di Cosenza sono presenti dei risultati estremamente interessanti, in cui è possibile osservare elementi di unicità intepretativa che manifestano tale processo, soprattutto nell’area ionica della Calabria.
Bartolomeo di Símeri (1050 ?) impiantò a Rossano uno dei più rinomati monasteri della Calabria, S. Maria del Patir, caratterizzato dalla imponente chiesa a tre navate e triabsidata, che costituisce il momento di rinnovamento dell’architettura normanna pur in presenza di un linguaggio decorativo di evidente ispirazione orientale.

La politica operata dai normanni in Calabria attraverso consistenti concessioni, la rivalutazione della economia agricola e il sostegno degli scambi commerciali fu seguita anche dalla casa di Svevia, la quale continuò a sostenere l’economia della regione attuando anche l’ integrazione con la componente sociale ebraica, al fine di favorire il commercio e le iniziative finanziarie.
Interessanti le testimonianza del periodo svevo simbolicamente racchiuse nella architettura del Castello di Cosenza, di cui Federico II curò la ricostruzione, essendo stata, probabilmente, la fortezza preesistente distrutta o danneggiata dal terremoto del 1184. Il castello ancora conserva una delle due torri ottagone poste lungo il lato sud e le imponenti sale a crociere costolonate.
Altri impianti federiciani sono attribuibili alla fortezza di Rocca Imperiale, variamente modificata nei secoli successivi e il suggestivo sistema fortificato di Roseto Capo Spulico (Petrae Roseti), anch’esso trasformato nel corso del tempo.
Anche la Cattedrale di Cosenza venne ricostruita dopo il terremoto del 1184 e inaugurata il 1222, alla presenza dell’imperatore.
All’interno, nell’area absidale, si conserva e si rivela il linguaggio artistico di produzione cistercense, semplice ed essenziale, alla cui definizione partecipò l’arcivescovo Luca Campano, monaco cistercense di Casa¬mari.

Altrettanto preziosa la sala capitolare dell’ Abbazia cistercense (1222), già benedettina e di fondazione normanna, del citato Monastero di S. Maria della Matina, ricostruita in seguito al terremoto del 1184. Si presenta suddivisa con due colonne centrali a fascio e ca¬pitelli a fogliame, su cui si innestano le volte a crociera costolonate.
Nell'ambito dell'architettura cistercense rientra anche l'Abbazia di San Giovanni in Fiore, iniziata da S. Gioacchino da Fiore, fondatore della regola florense, derivata da quella cistercense, altro insigne monumento della cultura e della spiritualità calabrese, in cui si rileva la ricercata espressività architettonica manifestata nel sistema della struttura absidale e sottostanti cripte.

Non altrettanto positiva fu la presenza della dinastia degli Angiò, dal XIII° sec. in poi, in cui si assistette al declino economico e sociale della regione condizionata da guerre dinastiche, dal prevalere del potere feudale e delle divisioni interne, che causarono un periodo di depressione economica per la consistente diffusione del latifondo delle baronie locali e per l’esoso fiscalismo imposto. Tale gestione arrecò notevoli danni alla Calabria. La città di Cosenza riuscì a conservare una certa autonomia per la condizione di demanialità, la quale consentiva ai sovrani di sfruttare i benefici finanziari dei ricchi commercianti locali e i prestiti concessi dai banchieri.
Il periodo angioino non ha lasciato grandi impianti nel contesto della provincia; semmai ha concorso con interventi limitati a fornire testimonianze della propria presenza nel contesto delle opere preesistenti.

Nella cattedrale di Rossano si notano alcuni elementi architettonici, quali i portali ogivali, le tre absidi, le semicrociere a costoloni e il sistema dei contrafforti esterni che propongono temi e linguaggi propri dell’architettura angioina di Napoli.

Altrettanto interessante le connotazioni stilistiche della Chiesa di S. Maria della Consolazione, avviata dal Filippo Sangineto nel 1342 con l’ampliamento della chiesetta di Santa Maria dei Franchi (1052), terminata il 1380, i cui tipi decorativi evidenti nel rosone, nel portale e nell’area presbiteriale, evidenziano stretta aderenza con il gotico francese.
Il sarcofago marmoreo del Sangineto è stilisticamente affine alle regie tombe angioine di Napoli (S. Chiara - S. Giovanni a Carbonara).
Altre presenze della architettura francese sono individuabili nei rifacimenti e ristrutturazioni del Castello (passaggio angioino con crociere costolonate su mensole) e della Cattedrale di Cosenza (Cappella della Regina ), quali esempi significativi ma episodici nella storia del panorama architettonico calabrese.


L’ETÀ MODERNA

Le condizioni di incertezza sociale ed economica continuarono con l’avvento della dinastia aragonese, avviata da Alfonso il Magnanimo (V° d'Aragona, I° di Napoli e di Sicilia), che subentrò agli Angioini nel 1442 e mantenne la sovranità sul Regno di Napoli fino al 1504.
Durante il breve ma intenso intervallo temporale si verificarono le rivolte dei contadini, fra cui fu famosa quella guidata da Antonio Centelles (1458-59) ferocemente repressa da Ferdinando I d'Aragona anche in provincia di Cosenza, a cui seguirono altri interventi militari per domare la congiura del baroni (1485), con le comprensibili evidenti conseguenze sociali. Furono eseguiti tentativi atti a sostenne i diritti delle categorie meno privilegiate, con modesti sostegni alle iniziative economiche. La condizione non mutò in senso positivo, né ebbe il sostegno necessario ad attivare quei processi economici avviati in età sveva, stante la componente politica feudale, peraltro sostenuta da influenze francesi, sempre contraria a operare in senso di partecipazione sociale, in quanto protesa alla salvaguardia dei propri diritti.
Si registra in tale intervallo temporale la presenza dei profughi albanesi, sfuggiti alla invasione ottomana e accolti da Alfonso I d’Aragona, ai quali furono concesse delle terre, soprattutto in provincia di Cosenza, in cambio della loro fedeltà al sovrano e con l’impegno di difendere la ‘corona’ dalle mire espansionistiche dell’impero turco.
Le architettura di tale periodo sono rivolte soprattutto alle strutture fortificate, per evidenti necessità di difesa esterna e interna per sostenere i possibili contrasti delle popolazioni sottomesse.
In provincia di Cosenza furono stabiliti i castelli di Castrovillari, Corigliano Calabro, Belvedere, gli ampliamenti del Castello di Rocca Imperiale e l’avvio della costruzioni costiere; poi completate e rinnovate in periodo spagnolo a difesa dagli assalti provenienti dal mediterraneo.
Tale indirizzo fa intuire la costante preoccupazione degli Aragonesi di difendere il regno già conteso dai Francesi, minato all’interno dalle baronie feudali, minacciato dalla potenza ottomana e dalla pirateria.

Tale periodo è caratterizzato dall’espressività stilistica definita come tardo-gotica, ben individuabile nelle fase finale della presenza aragonese con l’abbandono degli schemi strutturali e formali propri del linguaggio architettonico espresso tra i secoli XII° e XIV°.
La produzione edilizia si conformò agli stilemi dell’architettura di ispirazione napoletana, con la proposizione delle tipologie durazzesche e catalane, visibili soprattutto nei palazzi privati delle famiglie nobili con gli scaloni aperti, i portali ad arcate ribassate e la ripresa delle maglie regolari costolonate dei prospetti (Palazzo Falvo, Sersale e altri in Cosenza).
Altre esperienze furono proposte dalla committenza impegnata quale l’Ordine Domenicano, che nel convento di Cosenza propone il sistema del chiostro a pilastri ottagoni e il portale ribassato dell’ aula capitolare, adeguandosi ai temi già sapientemente sviluppati nella capitale del regno, Napoli.
Esempi che denunciano l’abbandono definitivo dello stile gotico, ormai superato dal processo di rinnovamento complessivo in atto e dal procedere degli eventi che coinvolsero, indirettamente, la Calabria in un vasto sistema di interessi a livello europeo.

A seguito dei conflitti tra francesi e spagnoli, provocato dai sovrani francesi Carlo VIII (1495) e Luigi XII (1499/1500), che si conclusero nel 1504 con la vittoria di Ferdinando il Cattolico, re di Spagna e l’estinzione politica della casa aragonese, Napoli divenne sede del Vicereame spagnolo e la Calabria una provincia meridionale del regno.

La presenza della dominazione spagnola, ovvero di un potere governativo centrale, più saldo militarmente e politicamente non produsse mutamenti positivi nella gestione del territorio calabrese, per la politica accentratrice dei Vicerè spagnoli che indirizzavano gli interventi alla sola regione napoletana. Le province erano poste sotto dominio dei baroni che operavano tramite agenti feudali, ai quali delegavano la gestione diretta della giustizia e l'amministrazione finanziaria, con conseguenti abusi e l’imposizione di tassazioni comprendenti anche i donativi alla corte madrilena.
Gran parte del territorio calabrese subì 1'infeudamento delle terre, a cui sfuggirono le città demaniali solo per i consistenti riscatti pagati a favore della Corona.
La condizione causò il depauperamento delle campagne ridotte a una condizione di sola sussistenza.
Si registra in tale periodo storico anche l’abbattimento dell’industria serica, costituente un patrimonio secolare molto rinomato, dovuto all'eccessivo peso delle imposizioni fiscali e al mancato investimento di capitali in grado di sostenere adeguatamente il confronto con i mercati esterni.
A tutto ciò si aggiunge il costante pericolo delle scorrerie saracene e turche¬sche, sempre incombente, che imponeva la costruzione di una rete di controllo lungo il territorio meridionale del regno. L’origine di tale sistema risale al XI° XII° sec., per arginare le frequenti incursioni saracene e corsare. Furono gli Angioini, più tardi, a progettare un piano completo di difesa realizzato solo in misura limitata e soprattutto nel territorio pugliese e jonico, a causa dei contrasti politici e delle guerre sostenute durante il loro dominio.
Il progetto del controllo costiero del territorio, la costruzione e il completamento delle strutture fortificate fu ripreso in maniera organica durante il periodo spagnolo, in quanto alle scorrerie saracene si unì la presenza nemica della flotta turca nel mediterraneo. Pertanto, il vicerè don Pietro di Toledo nel 1532 emanò le prime ordinanze rivolte alla costruzione di torri di avvistamento marittimo contro gli attacchi dal mare. Si avviò un vasto programma difensivo in tutto il Regno e la Regia Corte dispose che le ‘Università’ si fortificassero a proprio spese, puntando sulla costruzione di un numero considerevole di torri di guardia, da erigersi lungo tutto il litorale del regno.
Fabrizio Pignatelli nella metà del XVI° sec. avviò l’opera di ricognizione e tracciamento del sistema difensivo, stabilì le norme costruttive e architettoniche delle torri a tipologia quadra e cilindriche, suddivise funzionalmente in ‘cavallare’, di allarme o di difesa.
Disposizioni continuate nel 1563 sotto il vicerè Afan de Ribera, fino al completamento del sistema difensivo del regno avvenuto soltanto nel XVII° sec., che incluse anche l’assimilazione delle strutture difensive preesistenti. In Calabria Citra (Provincia di Cosenza) nella metà del XVIII° sec. esistevano 36 torri di guardia e numerosi castelli e fortezze in gran parte oggi conservati e in cui si evidenziano i riattamenti cinquecenteschi:
Torre San Giovanni - Amantea, Torre ‘Spaccata’ di Amendolara e Torre di Albidona, dal caratteristico impianto circolare e sviluppo cilindrico su base tronco conica; La Torre di Fiuzzi a Praia, Torre Talao a Scalea dalla tipologia a pianta quadrangolare con sviluppo in elevato ‘a scarpa’ segnata da caditoie rastremate lungo il coronamento in aggetto; infine le fortezze ampliate e riattate quali il Castello di Belmonte Calabro, Castello della Valle a Fiumefreddo Bruzio, Castello Ruffo a San Lucido e i poderosi Castelli di Amantea e Rocca Imperiale vere e proprie cittadelle fortificate.
Tale sistema di controllo e fortificazioni non valse a scongiurare le aggressioni dei turchi (il Barbarossa nel 1545, Mustafà nel 1550, Dragut nel 1565) anche dopo la battaglia di Lepanto (1571), in quanto il territorio costiero subì gli attacchi ad opera dell’ Ammiraglio della flotta turca Scipione Cicala, conosciuto col nome di Sinan Bassà (1593). Nato a Messina da famiglia di origine genovese e passato nelle fila ottomane al pari di altri ‘cristiani rinnegati’, come i calabresi Euldi Alì, Grande Ammiraglio, e Uluccialy Gran Capitano della flotta turca prima di Sinan.
Altri fattori negativi, oltre le continue contese nel mediterraneo, furono la cacciata degli Ebrei dal regno (1540), lo sterminio delle popolazioni valdesi di Guardia Piemontese (1560-61), le scorrerie di ‘banditi’, spesso con ambizioni di coinvolgimento politico delle masse contadine, come quelle organizzate da Marco Berardi (1560-63) detto «re Marcone» (sepolto in Cosenza nella cripta della chiesa di S.Francesco di Assisi), le avversità naturali (terremoti del 1658 e del 1659), le carestie e le pestilenze che provarono ancora di più la popolazione calabrese, alla quale il tentativi insurrezionale di Tommaso Campanella (1599) e la rivolta di Masaniello (1647) tentarono di offrire un riscatto, negato dalla repressione spagnola.

Di contro, la cultura umanistica e scientifica in Calabria registrò uno sviluppo considerevole per la presenza e l’attività di personaggi di profonda cultura e di riconosciuta valenza europea quali Bernardino Telesio, lo stesso Tommaso Campanella e mumerosi di letterati, filosofi e scienzati che contribuirono alla formazione in Cosenza di cenacoli accademici ben rappresentati dall’Accademia dei Costanti, dall’Accademia dei Pescatori Cratilidi (entrambe ospitate nel Duomo della città) e dall’ Accademia Cosentina, ancora vitale e attiva nel tessuto sociale e culturale della provincia.
Tale forte tensione culturale non si riversò nella struttura sociale e produttiva della Calabria, che ne rimase separata e lontana per gli evidenti problemi di fondo legati ai sostanziali limiti dettati dalla necessità della mera sopravvivenza.

A fronte della condizione sopra descritta occorre evidenziare che nel campo della produzione architettonica i segni del potere dominante, sia per motivi di rappresentatività propria e sia nel tentativo di indurre le masse ad una accettazione del termini del sistema imposto, risultano comunque validi e qualitativamente elevati.
Lo stato complessivo dell’architettura propone, soprattutto, interessanti esempi di impianti religiosi, strutture di natura pubblica in misura limitata e consistenti edifici privati, indicativi della presenza feudale in tutti i centri calabresi.
I capomastri archi¬tetti calabresi nel prima metà del cinquecento recuperarono il linguaggio dell’architettura rinascimentale in maniera limitata ma nel contempo ben misurata, proponendo espressioni sobrie e compiute.
I chiostri dei complessi conventuali delle Vergini e di S Francesco di Paola, sempre in Cosenza, sono indicativi di una nuova ricerca con risultati di notevole qualità formale.
Il Palazzo Spinelli, già Cosentino ad Aieta, esprime una interessante fac¬ciata con finestre decorate in pietra e una loggia centrale a cinque arcate poggianti su colonne toscane con balaustra.
Anche l’edilizia pubblica, come nel caso del Palazzo dei Prèsidi nel capoluogo bruzio, si adatta al nuovo linguaggio rinascimentale in maniera essenziale, ma nel contempo indicativa di una diversa e rinnovata cultura espressiva.

Il processo evolutivo nell’architettura continua. Sul finire del cinquecento Il recupero delle forme classiche si carica di contenuti che propongono, soprattutto nell’edilizia religiosa, una sintesi tra partiture geometriche e interpretazioni decorative, come si osserva in molte chiese della provincia datate alla fine del XVI° sec., ove compaiono bellissimi portali con arcate a tutto sesto inquadrati da colonne o semicolonne scanalate, oppure a disegno tortile, con trabeazioni impostate su cornici plurime e decori scolpiti in pietra caratterizzano la fase del tardo-rinascimaneto che prelude già alla evoluzione del primitivo barocco.

Nel secolo successivo (XVII°) si completò il processo di evoluzione plastica della nuova stagione del barocco, ben visibile nella produzione del complesso monumentale di San Francesco di Paola e nella facciata della chiesa della Madonna di Monte Vergine, nel centro tirrenico di Paola. Altrettanto indicativo della influenza spagnola lo sfarzoso prospetto, incompiuto, della chiesa di S. Maria del¬la Serra a Montalto Uffugo, il sistema delle chiese con relativi portali e scenografie prospettiche in Rogliano, importante centro della presila. Ivi, una scuola di maestranze, operose e rinomate in tutta la provincia cosentina, ha lasciato con estrema evidenza l’esperienza e la valentia realizzativa di abili maestri lapicidi.
Altri aspetti delle capacità espressive del barocco, rivolte agli interni, sono visibili nelle mirabili configurazioni spaziali offerte dalle cappelle del SS. Rosario, nella chiesa conventuale dei Domenicani e della Con¬fraternita di S. Caterina d’Alessandria nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, entrambi in Cosenza.
Dopo il seicento, i temi ben sviluppati della cultura barocca si avviarono a un mutamento che, similmente, trovò concorso nelle vicende storiche che videro altri interpreti nello sviluppo degli eventi della Calabria.
Neanche la breve dominazione austriaca (1707/1734), che subentrò a quella spagnola, a seguito della guerra di successione di Spagna, determinò cambiamenti nelle vicende sociali ed economiche della Calabria.

L’ETÀ CONTEMPORANEA

Carlo di Borbone III di Spagna, salito al trono nel 1734 e poi divenuto Re di Napoli, tentò di promuovere il miglioramento delle risorse dell'agricoltura e il risanamento delle finanze nel meridione. Condizione perseguita da Ferdinando IV, il quale avviò elementi di rinnovamento nella gestione del regno. Il governo, al fine di restituire nuova produt¬tività alle terre utilizzò il ricco patrimonio della Chiesa di Calabria, mediante l’incameramento dei beni di proprietà ecclesiastica attuato attraverso una serie di provvedimenti che sfociarono nella istituzione della Cassa Sacra (1784-96), in occasione del tragico evento connesso al terremoto del 1783.
Il tutto con l’intento di risanare l'economia calabrese e procedere a una più equa distribuzione della proprietà fondiaria.
Ma la riforma non ottenne gli effetti sperati e, inoltre, la regione subì la reazione sanfedista antigiacobina dopo la momentanea proclamazione della repubblica partenopea del 1799.

L’architettura settecentesca del periodo iniziò a perdere la ricchezza, la grandiosità e plasticità dell’ornato proprie del secolo pre¬cedente. Restò l’apparato della partitura secentesca, semplificata nei contenuti e reso più rigida dall’avvento di una revisione classica, che rielaborò le originarie espressioni confinandole, alla fine del settecento, in una essenziale e scontata complementarietà decorativa.
Gran parte delle chiese e degli edifici privati nella provincia di Cosenza subirono un processo di revisione e di adeguamento alla nuova visione, ispirata da fermenti illuministici, che appiatti, modificò e trasformò gli organismi architettonici limitandone e in molti casi trasformando integralmente i singoli e originari valori espressivi.

Una sostanziale modifica dell’assetto della Calabria si ebbe con la occupazione francese di Giuseppe Bonaparte (1806/1808) e l'abolizione della feudalità, a cui seguì, sotto il regno di Gioacchino Murat (1808/1815), la riorganizzazione complessiva dell’ordinamento civile con l'estinzione degli abusi giurisdizionali dei feudatari, ma non certo con la fine del potere economico della nobiltà.

Inoltre, contro il governo francese, divampò in Calabria una lunga drammatica guerriglia (brigantaggio meridionale), sostenuta dalla cor¬te borbonica rifugiatasi in Sicilia, a cui si contrappose una ferocissima repressione militare.
Il ritorno dei Borboni (seconda restaurazione) limitò il sistema della riorganizzazione e le riforme avviate nel decennio francese, alimentando un continuo stato di tensione sociale e politica. Ma gli eventi a livello europeo e le nuove istanze liberali che ebbero molti calabresi, pro¬venienti da più diversi ceti sociali, tra i protagonisti dei moti liberali del Regno verificatisi dal 1815 al 1860, avviarono il nuovo processo che nell’arco di qualche decennio modificò il quadro politico nazionale. Nel luglio del 1860, con lo sbarco di Garibaldi, la Calabria si univa al generale movimento di assimilazione degli stati nazionali della penisola con la proclamazione dell’Unità d’Italia.
Ma non terminò il periodo oscuro, in quanto l’intero territorio calabrese fu teatro della spietata repressione del brigantaggio (1861-66) e non mutò, dopo l'Unità, la condizione di arretratezza e di povertà che, stante la molteplicità dei fattori e la complessità delle cause, manifesta ancora dei limiti strutturali e di gestione.
Con l’arrivo dei francesi e nel successivo periodo della seconda restaurazione borbonica, l’architettura nell’8oo subisce ancor più una trasformazione nei contenuti espressivi. Il neoclassicismo diventa il modello di riferimento per la semplicità realizzativa, non disgiunta da fattori economici. Operazione di rivisitazione architettonica già preparata dalla visone settecentesca illuminista che aveva avviato il processo di schematizzazione dei modelli tardo barocchi con la proposizione di architetture di ispirazione classica, svuotate ormai di contenuti e motivazioni, soprattutto nel campo degli impianti religiosi.
I modelli di riferimento sono fondati sugli ordini classici (tuscanico sorpattutto nel meridione): ampi cornicioni, timpani regolari, elementi decorativi essenziali, facciate piane con aperture riquadrate e ingressi preceduti da balconate di aggetto su colonne, costituirono il motivo dominante che accomunò le costruzioni del periodo.
Un esempio canonico è rappresentato dalla sede del Liceo Ginnasio, ex Teatro S. Ferdinando, in Cosenza.
Poi, col passare del tempo e dopo l’Unità d’Italia i modelli si diversificarono, assimilando recuperi neo-gotici e neo-rinascimantali i quali, aggiunti al classicismo interpretativo di fondo, produssero una edilizia appariscente e composita e, nel contempo, gravida nella enunciazione espressiva.
La condizione predetta accomunò gli edifici da realizzare, da ristrutturare o da ricomporre e ampliare secondo i termini stilistici accennati, proponendo un lascito edilizio indifferenziato e anonimo nel contesto degli abitati storici della Calabria, teso a rappresentare un sistema di potere incapace di adeguarsi alle esigenze di fondo di una società fortemente compromessa e alla ricerca di nuovi contenuti, basata sulla sola esigenza di riflettere il nuovo stato sociale post-unitario.
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La breve rassegna esposta, che può intendersi come un momento di riflessione sugli eventi secolari della Calabria e della provincia di Cosenza in particolare, ha tentato di mettere in luce l’enorme patrimonio di valori accumulato dal territorio nel corso di secoli di storia.
Patrimonio di esperienze, di intelligenza, di operosità, di profonda religiosità e di cultura, vissute e maturate attraverso sacrifici ed eventi, spesso drammatici, ma innegabilmente validi, indiscutibili e significativi nella definizione delle qualità assunte nel corso dei secoli dalla nostra provincia.
Il tutto per essere offerto, concretamente e apertamente, tramite le testimonianze materiche ancora vive e conservate nel tempo, al futuro della nostra memoria.

Arch. Fulvio Terzi